Anche un insulto può strappare un sorriso. Basta dirlo in dialetto. Il campionario delle parolacce abbonda ed è, per così dire, patrimonio di tutti. Ma non è da tutti ‘declinare’ l’insulto, l’imprecazione o l’invettiva in “lengua milanesa”. Una ‘summa’ di come le male parole possano essere meno cattive e perfino gentili lo ha stilato Roberto Brivio, storico membro del quartetto cabarettistico dei Gufi, con il suo “El gran liber di parolasc”, edito da “Premiata Libreria Milanese” e fresco di pubblicazione. Niente di nuovo, si potrebbe dire, ma a leggerle di fila, in ordine alfabetico e corredate da immagini della vecchia Milano, c’è un certo piacere per il lettore a scoprire suoni e inflessioni di una città che non c’e’ più. Brivio compila il suo elenco – e in appendice propone dialoghi scurrili per diversi contesti – senza risparmiarsi: dal classico casciaball (cacciaballe), al desueto salmatracch (sciamannato), dallo sconosciuto martuff (babbeo) al bonario salamm (salame). Insomma, un excurus sulle parolacce che in fondo “riscatta” l’attualità del dialetto offrendo al linguaggio eufemisticamente colorito della contemporaneità un’arma in più, e tutto sommato un po’ più gentile e dal sapore retrò.
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