Una storia di confine, paesaggistico, tra selvaggio e urbanizzato, e umano, tra civile e animale. L’ha scritta Matteo Caccia scegliendo gli Appennini e la Maremma come sfondo, o meglio, come co protagonisti assieme ad un lupo-mentore e ad un uomo accompagnato da un cane. “Il silenzio coprì le sue tracce” (Baldini & Castoldi) ricorda Cormac Mc Carthy e Konrad Lorenz, ma è un libro che procede da solo sulle sue robuste gambe, lasciando le orme su un tratto di neve intonso. E lasciando un segno nei lettori che, dalla città o dalla provincia, si trovano improvvisamente immersi nello stesso silenzio del protagonista, spezzato solo dalle parole dell’autore.
Dove hai scritto questo libro? Nel silenzio o con una “colonna sonora”?
Ho scritto il romanzo tra il mio appartamento di Milano e una casa di campagna che ho preso un anno fa e che ho preso anche perché nel suo nome c’era proprio la parola “lupo”. Non scrivo quasi mai ascoltando musica, lo faccio quasi sempre nel silenzio. Continua a leggere