E’ un libro sulle radici, che sa di passato e di selvaggio, è un libro crudele, per certi versi, e non perché classificato come “horror”. “L’isola che brucia”, brucia e le fiamme arrivano a chi legge la storia di Teresa, scritta da Emma Piazza con questo esordio in Rizzoli molto promettente.
Di madre pavese, l’autrice lavora in un’agenzia di scouting letterario con sede a Parigi e vive a Barcellona, ma torna nella terra del padre, la Corsica, per raccontare una donna con una famiglia da costruire, e anche un “sé” da ritrovare. O costruire, al contempo.
Incinta, la protagonista approda nella terra dove è cresciuta e di cui ha i ricordi che una bambina può avere di questa isola ricca di natura e selvaggia: bellissimi. Ci libertà e avventura, di mare e sole. Non è la stessa cosa tornarci dopo anni, stavolta c’è meno luce in Corsica, per questa giovane ma non più infantile Teresa che si trova a fare i conti non con dei “banali” fantasmi del passato, ma con dei veri e propri vuoti angoscianti da colmare. Forse lo sospettava, questi vuoti non l’avevano mai abbandonata, in fondo, ma messo piede in Corsica sa che è venuto il tempo di affrontarli a testa alta. Anche per la creatura che porta in grembo.
Così, Teresa permette a Piazza di raccontare un amore assoluto inserito in un thriller dei più interessanti tra i recenti pubblicati.
Nelle pagine di “L’isola che brucia” la figura del padre di Teresa, da lei amato e odiato, si confonde a tratti con quella della Corsica stessa che non è ambientazione ma coprotagonista del mistero e in parte causa dell’inquietudine che aleggia dall’inizio alla fine del romanzo.
di Marta Abbà